Il sogno è una seconda vita[1].
Il sogno non si oppone al reale: il reale contiene il sogno[2].
La voce a te dovuta (dicembre 1933), Ragioni d’amore (giugno 1936), Lungo lamento (composto tra il 1936 e il 1939, ma pubblicato postumo) costituiscono la trilogia delle poesie d’amore di Pedro Salinas, scrittore spagnolo, tra i maggiori del Ventesimo secolo. C’è un elemento che accomuna queste tre opere, al di là della straordinaria bellezza dei versi: l’utilizzo, trasversalmente reiterato, del pronome personale “tu”. Manca sempre un nome, manca qualsiasi riferimento ad una singola persona concreta e viene invece adottato continuamente un generico “tu”. Quest’aspetto insolito ha portato alcuni critici di Salinas a congetturare le più fantasiose ipotesi interpretative. In particolar modo, inizialmente, Leo Spitzer ipotizza, in maniera assolutamente fuorviata, che la donna sia solo un “fenomeno della coscienza” e parla quindi di “concettualismo interiore”[3], mentre Ángel del Río sostiene che “La poesia di Salinas è fatta soprattutto di sottigliezze psicologiche”[4]. In altre parole, l’amore poetato da Salinas sarebbe un amore mistico, ideale, platonico, astratto, senza alcun contatto con il mondo reale, con l’universo delle passioni, della carne, del desiderio, della follia, vale a dire con l’Eros.
In realtà, è lo stesso Salinas a creare le condizioni di questo programmato “sviamento”. Leggiamo a titolo di esempio una poesia tratta da La voce a te dovuta, opera con cui ha inizio il dialogo interiore di un’anima con sé, che si volge e si rivolge ad un’altra anima. È un soliloquio intimo e ininterrotto, è la descrizione, individuale e universale, di ciò che accade all’io, quando è sentitamente e sentimentalmente coinvolto, avvinto da una forza inarrestabile come l’amore, trascinato dal turbine impetuoso delle passioni. Facciamo riferimento alla poesia XIV:
Per vivere non voglio
isole, palazzi, torri.
Che altissima allegria:
vivere nei pronomi!
Getta via i vestiti,
i connotati, i ritratti;
non ti voglio così,
travestita da altra,
figlia sempre di qualcosa.
Ti voglio libera, pura,
irriducibile: tu.
Quando ti chiamerò, so bene,
fra tutte le genti
del mondo,
solo tu sarai tu.
E quando mi chiederai
chi è che ti chiama,
che ti vuole sua,
sotterrerò i nomi,
le pergamene, la storia.
Comincerò a distruggere quanto
m’hanno gettato addosso
da prima ancora ch’io nascessi.
E ritornato ormai
all’eterno anonimato
del nudo, della pietra, del mondo,
ti dirò:
«Io ti voglio, sono io»[5].
A dire il vero, la poetica di Salinas non trascende la dimensione empirica, fattuale, carnale, pur essendo di un’accecante intensità trascendentale. Essa rappresenta l’apice dell’ineffabile dire amoroso, il “culmine dell’alba”[6], parafrasando lo stesso Salinas. Nei versi del poeta madrileno è possibile scorgere l’Assoluto, la grazia, Dio, il divino, ma questa dimensione “ultraterrena” e “metafisica” del linguaggio lirico, che tenta di dire l’inesprimibile, attingendo inconsciamente al sottosuolo onirico, non ha a che fare con l’ulteriorità, ma con l’immanenza, “umana, troppo umana” del sentimento amoroso, che lacera l’interiorità, che strugge e toglie il fiato. Qui in gioco, nel gioco “demoniaco” della creazione dei versi, non vi sono idee o concetti, ma più semplicemente l’improvviso e inspiegabile palpito del cuore. Dietro la fraseologia poetica di Salinas, vi è la fisiologia, la psicologia di un amore vissuto e patito, in carne ed ossa, nel profondo dell’anima. Leggiamo la poesia V, sempre da La voce a te dovuta:
È stato, accadde, è vero.
Fu in un giorno, fu una data
che segna il tempo al tempo.
Fu in un luogo che io vedo.
I suoi piedi toccavano il suolo
questo stesso che tutti tocchiamo.
Il suo vestito
era simile ad altri
che indossano altre donne.
Il suo orologio
sfogliava calendari,
senza scordare un’ora:
come contano gli altri.
E quello che lei mi disse
fu in una lingua del mondo,
con grammatica e storia.
Così vero
che sembrava menzogna.
No.
Devo viverlo dentro,
me lo devo sognare.
Togliere il colore, il numero,
il respiro tutto fuoco,
con cui mi bruciò nel dirmelo.
Mutare tutto in forse,
in mero caso, sognandolo.
Così, quando vorrà smentire
ciò che mi disse allora,
non mi morderà il dolore
d’una felicità perduta
che io tenni fra le braccia,
come si tiene un corpo.
Crederò di aver sognato.
Che tutte quelle cose, così vere,
non ebbero corpo, né nome.
Che perdo
un’ombra, un sogno ancora[7].
In queste righe vi è un’esplicita e, al tempo stesso, enigmatica ammissione di un dato di fatto, dello status quo: “È stato, accadde, è vero”. Salinas riconosce che è tutto “vero” ciò di cui parla, è la verità, non è una finzione. Si riferisce ad una donna concreta: ai suoi “piedi”, al suo “vestito”. Fa riferimento al suo “orologio”, che dà inizio ad un nuovo corso del proprio tempo interiore, ad una nuova età psichica, ad una nuova era nello sviluppo della sua personalità. Ma non svela il nome, non rivela alcuna identità precisa. Oscilla tra la realtà apodittica e il mistero del sogno, finge, mette in scena, inscena, una mistificazione del retroscena, c’è sempre quest’ambivalenza di un rebus che non viene mai risolto, ma che rinvia ad un’Ombra, alla “menzogna”, quasi fosse tutto frutto della fervida immaginazione del poeta, l’effimero e aleatorio prodotto di un sogno sognato. Ma chi c’è realmente dietro il “tu” invisibile e taciuto? Qual è il nome proprio, sotteso al pronome “tu”? Esiste un volto, una figura, uno sguardo, a cui la “La voce a te dovuta” è dovuta? In altre parole: chi è la persona a cui si riferisce Salinas nell’intera raccolta e nell’intera trilogia amorosa?
Grazie al prezioso lavoro del Prof. Enric Bou, autorevole ispanista, abbiamo accesso a parte della corrispondenza con la donna che ha ispirato Salinas, la “Musa ispiratrice”, la femme fatale che ha inavvertitamente ammaliato, sedotto e sconvolto la vita dello scrittore spagnolo, sino alla morte: l’americana Katherine Whitmore, donna bella, affascinante, trentacinquenne all’epoca del loro incontro, avvenuto nell’estate del 1932. Salinas aveva quarant’anni, era sposato con Margarita Bonmatí Botella, di sette anni più adulta, e aveva due figli: Jaime e Solita. Lavora al Centro di Studi Storici, era professore presso l’Università di Madrid ed è uno dei fondatori dell’Università Internazionale di Santander. Katherine, invece, insegna allo Smith College, e si reca a Madrid per seguire un corso di letteratura spagnola, tenuto proprio da Salinas. Sin dalle prime lezioni è “colpo di fulmine”, come si evince da una delle primissime lettere della corrispondenza: “Nessuno ha notato niente, nessuno si è accorto di nulla. Ma quella sera, uscendo dall’aula, il mondo portava con sé una nuova illusione, un desiderio ulteriore. Ti assicuro che pensavo non l’avresti mai saputo. Ho pensato che saresti passata al mio fianco senza che io potessi avvicinarmi alla tua altezza divina, lontana e superiore, come gli dèi e i desideri più alti. ‘Lo saprà mai?’, mi sono chiesto tra me e me” (lettera del 2 agosto 1932)[8].
L’incontro avviene all’insegna di un bagliore accecante, di una “luce improvvisa”[9], che stravolge il percorso esistenziale di Salinas. Nulla sarà più come prima: i giorni, le notti, gli impegni accademici, la famiglia. Tutto passa in secondo piano, tutto diviene secondario, talvolta irrilevante. Infatti, grazie all’amore, corrisposto da Katherine, Salinas percepisce un sentimento di unità totale, di completa integrazione col mondo. Non si sente isolato, estraneo, straniero, estraniato, ma accolto tra le braccia della persona amata, riconosciuto dallo sguardo di lei, per dirla con Sartre, “giustificato di esistere”[10]. È ebbro di sé perché il suo sé ha valore incondizionato agli occhi dell’altro. La relazione con la giovane americana diviene, pertanto, l’intero suo mondo: un mondo auto sussistente, in virtù del quale egli percepisce, come suggerisce la poesia XLV, una sensazione di costante “elevazione”, “ascensione”, “ascesa”:
La materia non pesa.
Il tuo corpo ed il mio,
uniti, non sentono mai
schiavitù, sentono ali.
I baci che tu mi dai
sono sempre redenzioni:
tu baci verso l’alto,
e qualcosa di me porti a luce,
costretto prima
nel fondo oscuro.
Lo salvi, lo guardiamo
per vedere come ascende,
e vola, per l’impulso che gli dai,
verso il suo paradiso
dove ci aspetta.
No, non opprime la tua carne
e neppure la terra che calpesti
né il mio corpo che stringi.
Sento, quando mi abbracci,
che ho tenuto contro il petto
un lieve palpitare,
vicinissimo, di stella,
che viene da un’altra vita.
Il mondo materiale
nasce quando tu parti.
E sull’anima sento
quest’oppressione enorme
di ombre che hai lasciato,
di parole, senza labbra,
scritte su fogli di carta.
Restituito alla legge
del metallo, della roccia,
della carne. La tua forma
corporea,
il tuo dolce peso rosa,
è ciò che mi rendeva
il mondo più lieve.
Ma ciò che non sopporto
e che mi schiaccia,
chiamandomi alla terra,
senza te per difendermi,
è la distanza,
è il vuoto del tuo corpo.
Sì, tu mai, tu mai:
il tuo ricordo, è materia[11].
L’amore tra Salinas e Katherine Whitmore è in ogni caso un amore “in sospeso”, “in bilico”, vissuto tra le difficoltà oggettive della distanza geografica e la consapevolezza di essere espressione di una relazione extraconiugale. Col passare del tempo, l’entusiasmo iniziale dell’innamoramento è messo a dura prova dalla “situazione-limite” del vincolo matrimoniale, cui è legato Salinas. Katherine reclama maggiori certezze, vorrebbe un salto di qualità nella relazione, e soprattutto il rapporto subisce un’inclinazione netta a seguito del tentato suicidio, il 27 febbraio 1935, di Margarita, moglie del poeta spagnolo. Sia nelle lettere, che nelle poesie, a partire soprattutto dalla silloge Ragioni d’amore, si avverte la comparsa di una velata sfumatura di grigio, nel cielo limpido e azzurro dell’amore. Progressivamente, si va insinuando il tarlo minaccioso di una possibile fine, di una separazione, di un abbandono, di un addio, di un “no” che segue a un “sì”, di un doloroso e ineluttabile ritorno al mondo cupo della spettrale solitudine.
Questo processo inevitabile, la traiettoria di questa parabola discendente, è perfettamente visibile, se leggiamo le poesie della raccolta postuma Lungo lamento, e se al contempo prendiamo in considerazione la seconda parte delle lettere. Le poesie e le epistole vanno di pari passo, rappresentano il doppio binario di una medesima psicologia dell’amore, si chiariscono, si integrano e si completano a vicenda. Le lettere stesse presentano un tono poetico: sono poesie scritte in forma di prosa epistolare. Se agli esordi prevale il tema dell’“ascesa”, della “salita”, dell’“apertura”, ora prevale invece quello dell’“inverno”, del “vuoto” e della “caduta”.
La fine di un amore provoca, come sempre, il “lutto” della coscienza, il venir meno del mondo, sul quale avevamo fondato la nostra relazione con il mondo. Salinas avverte il trauma, la ferita, il taglio, e i suoi testi rispecchiano in pieno la modificazione dei sentimenti, la lacerazione nel vissuto, la perdita di coordinate vitali, lo spaesamento, il freddo e il buio dell’esistenza. “Dammi luce e sarò chiaro / non ti stufi la mia pena / di quando tu non mi illumini”[12], sembra essere l’implorazione finale, la supplica conclusiva contenuta in Lungo lamento, la presa di coscienza di un amore perduto, giunto ormai irrimediabilmente al capolino. Emblematica in tal senso la poesia 50, posta a chiusura di Lungo lamento, che rappresenta il grido malinconico e struggente per ciò che avrebbe potuto essere, e che purtroppo, per ironia della sorte avversa, non è più stato:
Non rifiutare i sogni in quanto sogni.
Tutti i sogni possono
esser realtà, se il sogno non finisce.
La realtà è un sogno. Se sogniamo
che la pietra è la pietra, quello è la pietra.
A correre nei fiumi non è un’acqua,
ma è un sognare, l’acqua, cristallino.
Maschera i propri sogni
la realtà e dice:
«Io sono il sole, i cieli, l’amore».
Mai però se ne va, mai si allontana,
se fingiamo che sia più d’un sogno.
E viviamo sognandola. Sognare
è quel modo che l’anima
ha per non farsi mai sfuggire
quel che le sfuggirebbe se smettessimo
di sognare che è vero quello che non esiste.
Solo muore
un amore se non è più sognato
fatto materia e che si cerca in terra[13].
Il sogno, allora, è la chiave di accesso privilegiata per comprendere la complessa e articolata psicologia amorosa di Salinas, che si esplica naturalmente, istintivamente, pulsionalmente, attraverso il dire poetico e la scrittura epistolare. In una lettera del 12 febbraio 1934, quando la relazione con Katherine è ancora solida e idilliaca, Salinas, in treno, di ritorno da Malaga, si riferisce al sogno, con queste parole: “Un sogno, che non ha di chi sognare, è solo un sogno, incompleto, la metà della vita. Ma quando qualcuno ci ama, tanto da farci sognare in esso, quello diventa completo. Tu mi hai amato, affinché io sognassi in te, perché tu sognassi in me. Ed ecco perché oggi, questo pomeriggio, il mio sogno dell’anima è stato perfetto. Grazie, vita, per aver lasciato che ti sognassi e mi sognassi, e sognassi la vita in noi fatta carne, sognata da un uomo e una donna che si amano, sognandosi”[14].
L’amore per Salinas è dunque un sogno che non finisce mai: un sogno perenne, perpetuo, immortale, imperituro, che si nutre avidamente dell’immaginazione e del desiderio. Se corrisposto, è un sogno “reale”, che dona beatitudine ed ebbrezza nell’anima, la pienezza della vita, nella relazione con l’altro, nella fusione miracolosa di due individualità. Se non è corrisposto, o non è più corrisposto, è un sogno “irreale”, “immaginifico”, che la coscienza scissa, lesionata, frantumata, s’inventa per non sprofondare nella palude della propria solipsistica ipseità, della propria glaciale iità, ossia è l’ultimo appiglio, al quale disperatamente aggrapparsi, per lenire, per quel poco che vale, la ferita lancinante di un’aberrante solitudine esistenziale e simulare, a sé e al mondo, di non essere ancora morti, di possedere ancora il privilegio atavico delle lacrime, trattenute a stento negli occhi.
[1] G. de Nerval, Il sogno e la vita, a cura di F. Calamandrei, Einaudi, Torino 1943, p. 101.
[2] J. Bousquet, Le Bréviaire bleu, Rougerie, Mortemart 1977, p. 15.
[3] L. Spitzer, El conceptismo interior de Pedro Salinas, Revista Hispánica Moderna, Año 7, No. 1/2 (Jan. – Apr., 1941), pp. 33-69.
[4] A. Del Río, Historia de la literatura española. Desde 1700 hasta nuestros días, Barcelona 1948, vol. II, p. 502.
[5] P. Salinas, La voce a te dovuta, a cura di E. Scoles, Einaudi, Torino 1979, XIV, p. 49.
[6] Id., Ragioni d’amore, a cura di V. Nardoni, Passigli Editori, Firenze 2006, p. 27, v. 18.
[7] Id., La voce a te dovuta, cit., V, pp. 15 e 17.
[8] Id., Cartas a Katherine Whitmore (1932-1947), Edición y prólogo de E. Bou, Tusquets Editores, Barcelona 2002, p. 41. Per un inquadramento della relazione tra Pedro Salinas e Katherine Whitmore si rinvia a: J. Cross Newman, Pedro Salinas y su circunstancia. Biografía, traduccion de R. Cifuentes, Páginas de Espuma, Madrid 2004, pp. 223-249; Ruth Katz Crispin, “¡Qué verdad revelada!”: The Poet and the Absent Beloved of Pedro Salinas’ “La voz a ti debida”, “Razón de amor” and “Largo lamento”, Revista Hispánica Moderna, Jun., 2001, Año 54, No. 1 (Jun., 2001), University of Pennsylvania Press, pp. 108-125; C.E. Peragón López, Algunas notas sobre la proyección literaria en el epistolario de Pedro Salinas a Katherine Whitmore, Revista de Literatura, LXVI, 132 (2004), pp. 465-484; Montserrat Escartín Gual, Pedro Salinas, una vida de novela, Ediciones Cátedra, Madrid 2019, pp. 123-226.
[9] P. Salinas, La voce a te dovuta, cit., XII, p. 41, v. 3.
[10] J.-P. Sartre, L’essere e il nulla, tr. it. di G. del Bo, il Saggiatore, Milano 1997, p. 421.
[11] P. Salinas, La voce a te dovuta, cit., XLV, pp. 143 e 145.
[12] Id., Il corpo, favoloso. Lungo lamento, a cura di V. Nardoni, Passigli Editori, Firenze 2015, p. 83.
[13] Ivi, p. 187.
[14] Id., Cartas a Katherine Whitmore (1932-1947), cit., p. 245.